Ringraziamo l'Avvocato Roberto Sforni, appassionato studioso di filosofia, per averci concesso di pubblicare interamente la sua ricerca sul pensiero di Franco Giorgio Freda.
Roberto Sforni
FREDA: IL FILOSOFO
DELLA DISINTEGRAZIONE
“Un sentito
ringraziamento per l’attenzione della Sua lettura.”
(Franco G. Freda)
L’opera
di Franco G. Freda, La disintegrazione del sistema (Edizioni di AR)
è
suddivisa in cinque capitoli, così intitolati:
- Analisi
- La fisionomia del vero stato
- Necessità di una metodologia operativa
- L’organizzazione dello stato popolare
- Auspicî
Il crepuscolo della nostra
civiltà
“Quando finirà dunque questa
società imbastardita
da tutte le dissolutezze, dissolutezze
dell’intelletto, del corpo e dell’anima? Allora tornerà certamente la gioia
sulla terra, quando questo vampiro bugiardo e ipocrita che si chiama civiltà
sarà morto; si abbandoneranno il manto regale, lo scettro, i diamanti, il
palazzo che crolla, la città che va in rovina, per andare a raggiungere la
giumenta e la lupa.”
(G. Flaubert, Memorie
di un pazzo)
Freda
come Poe, Baudelaire, Goya, Saudek, Bacon.
Ciascuno,
nel proprio ambito, narratore della tragedia dell’esistenza.
Cantori
di una civiltà al crepuscolo, destino beffardo e ineluttabile di fisionomie
umane deviate a uno stato di animalità.
Nessuno
più di loro ha osato nel descrivere l’assurdo possibile, l’anello di
congiunzione tra l’impossibile e il reale.
E’
una frontiera vaga incomprensibile ai più, che sfocia nell’immagine del caos,
così trascendente e naturale quanto incredibilmente moderna, attuale e attualizzabile.
Nella
poesia Il Corvo di Edgar Allan Poe, a mezzanotte, uno studente è ancora
in piedi: anima inquieta e sognante, ormai stanco di “meditare su bizzarri
volumi di un sapere remoto” , sente
picchiettare alla finestra. Pensando al vento apre le imposte. Un “Corvo
maestoso dei santi tempi antichi” entra così nella stanza appollaiandosi su
un busto di Pallade. I suoi occhi sono infuocati, inizia a parlare, il tono è
grave e quasi sovrannaturale, ricordi che si perdono in una notte di
solitudine. Pronuncia un ritornello: “Mai più”. L’anima dello studente
non si solleverà mai più dall’ombra sul pavimento di quel “diavolo sognante”.
Quello studente è straordinariamente simile al giovane Freda, con il capo reclino
fino a tarda notte sulle opere di Platone, Aristotele, Spinoza e Nietzsche,
alla ricerca di uno spiraglio di luce nelle tenebre.
Charles Baudelaire descrive così la pittura di Goya,
nella poesia I fari: “Goya,
incubo pieno di cose sconosciute,
di
feti messi al fuoco delle streghe ai raduni, di vecchie che si specchiano e
bimbe tutte nude, che s’aggiustan le calze per tentare i demoni!”
Baudelaire,
supremo poeta del peccato, del satanismo e delle sensazioni più voluttuose, dei
sublimi versi “Ecco la sera affascinante, amica del criminale; viene come un
complice, a passo di lupo; il cielo si chiude lentamente come una grande alcova
e l’uomo impaziente si muta in belva atroce”, ricorda in particolare due
incisioni straordinarie di Goya. La prima ritrae un paesaggio fantastico, misto
di nubi e rocce. Teatro di una furibonda lotta fra due streghe sospese in aria.
Una è a cavallo sull’altra, la bastona e la soggioga. Tutto il luridume morale,
tutti i vizi che mente umana possa concepire sono impressi sui due volti.
La
seconda incisione rappresenta un essere, un infelice che vuole ad ogni costo
uscire dalla tomba. Demoni malefici, miriade di deformi gnomi lillipuziani,
premono con tutto il loro peso sul coperchio della tomba dischiusa. I vigili
custodi della morte alleati contro l’anima recalcitrante che si ostina a
combattere una battaglia impossibile.1
Queste
visioni da incubo non possono non far pensare alle descrizioni in cui Freda
mette a nudo la laidezza e l’estrema dissolutezza della società in cui viviamo.
“Lo svuoterei bene, questo stivale di sterco!…”.2
E’
la stessa decadenza espressa dalle fotografie di Jan Saudek, una fiera delle
vanità in cui non c’è vergogna ma piacere di resistere prima che tutto crolli.
Uno dei tagli più frequenti è quello in cui si vede una finestra aperta oltre
la quale vi è un muro scrostato su cui batte una luce radente. Anche, talvolta,
una veduta di cielo o di città notturna, come l’apertura verso un nuovo mondo.
Saudek retrodata artificiosamente di un secolo le sue opere, Freda potrebbe
fare l’esatto contrario ponendo le sue descrizioni avanti nel tempo, in
continua fuga, posticipandole di quarant’anni. Chi se ne accorgerebbe?
Francis
Bacon faceva iniziare la sua storia artistica da Tre studi per figure ai
piedi di una Crocifissione, opera di una terribile violenza espressiva. Non
rappresenta alcuna azione violenta, così come la prosa frediana, ma qualche
indefinita violenza inumana, accaduta in uno spazio e in un tempo che non
vediamo.
Gli
elementi umani e bestiali delle figure, confusi in una comune deformazione,
sono così impenetrabili ed ambigui da non consentire l’individuazione di alcun
significato esplicito.
Freda
scrive nella piena consapevolezza delle implicazioni espressive del suo stile:
asciutto, a tratti carnale, tanto raffinato da non comunicare più nulla di
intelligibile, per colpire il livello più vivo ed intuitivo della mente.
Laddove
agiscono le sensazioni, quali modi di
conoscenza che precedono la logica e sono più profondi di essa.
La dimensione nascosta
“Se volete arrivare in alto, usate le
vostre gambe!
Non lasciatevi ‘trasportare’ in alto,
non sedetevi
su dorsi e teste altrui!”
Tu salisti a cavallo? Cavalchi veloce
verso la
tua meta? Bene, amico! Ma il tuo piede storpio
è
con te sul cavallo!
Quando sarai alla meta, quando salterai
da
cavallo: proprio al vertice della tua
‘altezza’, o
uomo superiore, – inciamperai!”
(F.
Nietzsche, Così parlò Zarathustra)
E’ possibile accostare il
pensiero di Freda alla filosofia politica? La risposta non può che essere
affermativa, se si considera che la filosofia politica contemporanea,
rappresentata ai più alti livelli da Schmitt, Arendt e Rawls, ha messo in luce
la complessità del fenomeno politico, ponendo un’attenzione particolare alla
questione del rapporto tra etica e politica, nell’ambito della concezione dello
Stato ideale.
Esaminando approfonditamente
l’opera oggetto del presente studio, La disintegrazione del sistema, è possibile
attribuire a Freda quello spazio a cui ha pieno diritto all’interno del
pensiero filosofico in senso lato. Potremmo anche affermare, riferendoci ad
Aristotele, che si tratta di una filosofia non solo etico-politica ma pratica,
in quanto, come vedremo, caratterizzata dall’azione, sia come obiettivo
che come oggetto.
Il pensiero frediano,
caratterizzato da una spiccata capacità di leggere le situazioni
storico-politiche, è in realtà un pensiero estremamente complesso e cercare di
comprenderlo significa accostarvisi con la massima apertura e disponibilità
intellettuale, abbandonando pregiudizi che impedirebbero di riconoscerne
l’originale nucleo teorico – concettuale, che lo distingue da altre dottrine
politiche, come l’anarchismo, il comunismo e lo stesso fascismo, rendendolo più
ampio di queste. La filosofia frediana è infatti sistematica, in quanto si pone l’obiettivo di costruire un sistema di pensiero che dia ragione di
tutto, che non si limiti infatti all’analisi degli aspetti etico-politici posti
alla radice del vero Stato, ma comprenda filosoficamente le basi anche del
futuro sistema economico – finanziario, educativo e giudiziario della creatura
statuale che dovrà vedere la luce, in contrapposizione all’assenza di governo e
di giustizia che caratterizzano l’epoca attuale, artificiosa e corrotta fino
alle viscere.
Lo Stato rappresenta per
Freda, così come per Platone e, successivamente, per Hegel, il momento
culminante dell’eticità, è la sostanza etica consapevole di sé. Di conseguenza
lo Stato non implica una soppressione della società civile, ma lo sforzo di
indirizzare i particolarismi verso il bene collettivo. Avendo consapevolezza di
sé come totalità etica, lo Stato non riconosce al di sopra di sé nessuna
autorità, fondando la sua sovranità e la sua ragion d’essere in sé medesimo e
non nel popolo. Ed è lo stesso Hegel a costituire il vero denominatore comune
ideologico delle ali estreme di destra e di sinistra, di cui Freda auspica
l’unione in chiave anti-sistema. Hegel rappresenta quella dimensione nascosta e
non evidente alla maggioranza, che conduce al superamento dell’ideologie
estreme nella loro forma storica.
A differenza del pensiero
anarchico, pur presente in alcuni aspetti della filosofia frediana – come il furore apocalittico bakuniano, la
ciclopica volontà di distruzione nonché la convinzione secondo cui il
terrorismo non assume una valenza fondamentale nella formazione dello Stato,
bensì occasionale, secondario rispetto alla propaganda politica e, per lo
studioso padovano, motivato solo dall’esigenza di sferrare il colpo mortale
all’infezione borghese – ,1 l’autodeterminazione dell’individuo, il suo pieno e
totale diritto di scelta, di consenso o di rifiuto, per Freda devono essere
subordinati alle esigenze di equilibrio dello Stato. Uno Stato aristocratico
che rifiuta il liberismo e il proletarismo marxista al tempo stesso, il
conformismo e la massificazione, alla ricerca di una dignità perduta, di una
ribellione morale in cui il ritrovamento di una autonomia della ragione
dell’uomo da ogni forma di servitù intellettuale, non può prescindere dal
superamento di ogni afflato di individualismo ed egoismo.
Lungi dal rifugiarsi in un
mondo frutto di fantasia, perduto in un lontano passato o in un ipotetico
futuro, il pensiero frediano è essenzialmente concreto, perché si muove da una
ragionata critica dell’esistente, ed è l’esistente a dover essere disintegrato.
“Quando entrava nella mia stanza, restando
rigorosamente in piedi, era come se trasmettesse un’energia misteriosa e malefica.
Ha presente quelle figure paranormali e carismatiche che fanno agitare la
natura al loro cospetto? Foglie che si muovono, specchi che si rompono,
temperatura che sale inspiegabilmente di alcuni gradi? Ecco, questo era
l’effetto che mi faceva Freda.” *
I. Décadence
“Perché vogliono la pace, i borghesi? Forse che riesce
loro allettante la promessa di
estinguersi sopra un letto, a ottant’anni, colpiti da paralisi e marciti dai
tumori?...La pace serve loro per vegetare in condizioni di benessere materiale,
procreare altri esseri come loro infetti…Sì, certo! Anche noi desideriamo per
loro una pace: una pace stabile,
duratura?...E’ troppo poco. Noi garantiremmo loro di più: una pace eterna, in
posizione orizzontale, piatta come le loro più autentiche tendenze. Un letamaio
razionale, ‘naturale’ – e, sopra tutto
per noi, funzionale.”[1]
L’istinto primario che ha causato la stesura di questo commento a La disintegrazione del sistema di Franco
Freda, nasce dal convincimento più profondo che il momento di decadenza a cui
una parte dell’umanità sta sopravvivendo
– il lettore noti che, dolosamente, non parlo di vita ma di sopravvivenza -
comporta l’ineluttabile necessità di comprendere, per
usare le parole di Freda, “senza puerili
alibi borghesi”, gli errori trascorsi – ebbene sì, siamo colpevoli ! – le
ragioni fondamentali che hanno potuto permetterli e il dovere di delineare una strategia comune
di lotta, che veda il popolo marciare unito verso un unico obiettivo:
l’abbattimento completo e definitivo del capitalismo e del sistema borghese che
da sempre lo sostiene.
Fino a
pochi sciagurati mesi or sono, siamo
stati cullati nell’idea che l’Europa, definita squisitamente da Freda “vecchia baldracca che ha puttaneggiato in
tutti i bordelli e che ha contratto tutte le infezioni ideologiche” –
socialmente, politicamente e culturalmente americanizzata – rappresentasse un
vero baluardo a difesa dei pretesi valori della civiltà occidentale, senza renderci conto che questa variegata
entità, serva degli Stati Uniti d’America, presto o tardi sarebbe franata con
il castello di menzogne su cui si fondava, trascinando con sé i popoli che, con
insistita miopia, in essa avevano ostinatamente creduto.2
E’ un dato
di fatto che oggi, come e ancora più del momento in cui Freda pronunciava il
suo celebre j’accuse, parlare di
Europa se non in termini di connotazione
geografica, non abbia alcun senso. Ed è proprio per questo che oggi
possiamo identificarci maggiormente nel pensiero rivoluzionario guevarista che
in quello di un guitto francese che ordina l’attacco alla Libia.
E per le
stesse ragioni troviamo più vicine ai nostri desideri di lotta e di vendetta le
urla dei popoli che chiedono da decenni il riconoscimento della propria
autodeterminazione e non degli Stati che, per mantenere inalterati i propri
equilibri, dalle loro comode poltrone delle Nazioni Unite, votano ancor’oggi
vergognosamente a favore dell’embargo a Cuba.3
***
Nondimeno,
dobbiamo considerare terminato il tempo di trastullarci nella convinzione che
la soddisfazione dei nostri bisogni fisici rappresenti il benessere: la nostra
è la democrazia imposta dall’economia capitalista e il benessere è solo quello
dell’uomo-borghese. Non è il benessere di tutti noi.
E’ il ben pasciuto suino capitalista che trova sazietà nelle sofferenze
del popolo.
L’umanità non
rappresenta uno sviluppo verso il migliore, o il più forte o il superiore, così
come da sempre si crede. Il progresso
non è altro che un’idea moderna, vale a dire un’idea sbagliata. Il cittadino
europeo di oggi rimane, nel suo valore, profondamente al di sotto dell’europeo
del Rinascimento; sviluppo ulteriore non
è assolutamente, per chissà quale necessità, elevazione, crescita,
rafforzamento. “Di questa modernità noi fummo malati, della pace
marcescente, del vile compromesso, di tutta la virtuosa immondezza del moderno
sì e no. Questa tolleranza e largeur di cuore, che perdona perché tutto
comprende, è scirocco per noi. Meglio viver tra i ghiacci, che tra le moderne
virtù e altri venti meridionali!…”.1
Come scrive
Zigmunt Barman:
“la libertà di pensiero, di espressione e di
associazione ha raggiunto livelli senza precedenti ed è più vicina che mai a diventare
realmente illimitata. Il paradosso, tuttavia, è che questa libertà giunge in
una fase in cui se ne può fare un uso limitato, e in cui le possibilità di
trasformare la libertà dalla costrizione in libertà di agire sono poche”.
Non è un
caso che una delle espressioni che maggiormente sta distinguendo la nostra
epoca è la seguente: non ci sono
alternative. La conseguenza di questa credenza
è ovvia: se mancano le alternative (alla democrazia, al capitalismo, alla
società multirazziale, alla globalizzazione, allo strapotere dei mercati,
ecc.), si sarà pure liberi, ma liberi per
che cosa? Una libertà incapace di percorrere altre strade, una libertà
totalmente in linea “con i tempi”, è vera libertà o non, piuttosto, il suo
esangue simulacro?
Non libertà,
allora, ma la sua contraffazione: è questo il volto ultimo della nostra epoca.
In altre
parole: resta solo la libertà intesa come non-interferenza (nel senso che
nessuno interferisce con le scelte del legislatore, anche se non le gradisce e
gli esempi, nella società contemporanea possono essere molteplici), come
non-dominio (nel senso che nessuno domina chi ci comanda), come assenza di
vincoli, libertà-negativa, tipica del liberalismo, in contrapposizione alla
libertà-positiva (libertà di fare, di agire), che presuppone uguale diritto a pari libertà. Ma con ciò risulta evidente che
il principio di riferimento non è più la libertà bensì l’uguaglianza, ovvero la
libertà finisce per essere inevitabilmente sottomessa all’uguaglianza.2
***
Mai come ora
le parole di Marx si rivelano profetiche:
“Il potere politico moderno non è altro che
un comitato, il quale amministra gli affari
comuni della classe borghese nel suo
complesso[…]Dove è giunta al potere, la borghesia
ha
distrutto tutti i rapporti feudali, patriarcali, idilliaci[…]e non ha lasciato tra uomo e
E’ uno
spettacolo doloroso, orripilante, quello che ci sta di fronte: la degenerazione
dell’uomo. Intendo degenerazione, già lo si indovina, nel senso di décadence: io affermo che tutti i valori
in cui l’umanità compendia in questo momento la sua idealità suprema sono
valori di décadence.4
I
lavoratori quotidianamente assistono alla dissoluzione della propria dignità personale, sacrificata
sull’altare di un mai precisato interesse al miglioramento delle attività
produttive.
E’ il
momento del supremo non-essere di diritti e libertà faticosamente conquistate
oppure accordate, frutto di decenni di lotte sindacali, di oceaniche
manifestazioni di piazza: i datori di lavoro, con l’appoggio politico del
comitato d’affari di cui parlava Marx, hanno introdotto una forma di cinico
sfruttamento, vergognosamente spudorato, in luogo di uno sfruttamento prima
velato da illusioni religiose e politiche. Lo stesso sfruttamento che comporta
la riduzione del corpo a cosa, la mercificazione dell’uomo. Il sesso come
obbligo e bruttezza, metafora del rapporto del potere con coloro che gli sono
sottoposti.5
Ancora un parola sul concetto di benessere, perché certamente il borghese
o qualche sparuto gruppo di lavoratori – quelli che ancora fingono di ignorare
quanto sta accadendo - potrebbe sollevare qualche timida obiezione alle nostre
convinzioni, argomentando che il sistema capitalistico è andato di pari passo
con il progresso.
A questi
risponderemmo che, l’indubbia modernizzazione
– il cui concetto non coincide con quello di miglioramento – degli strumenti di produzione e di scambio,
verificatasi nel corso dei secoli ed in particolar modo dalla Rivoluzione
industriale – peraltro estesa a tutti i paesi del mondo - trova la sua origine
nell’essenza stessa del sistema capitalistico, il quale non avrebbe potuto
continuare la sua esistenza ed il suo logorante sfruttamento dei lavoratori,
senza rivoluzionare i mezzi di produzione.
Il
progresso è pertanto una condizione di vita o di morte del capitalismo, ma a
pagarlo a caro prezzo sono i lavoratori, con l’attuale messa in discussione
della propria condizione sociale ma, soprattutto, con la catastrofica attuale
crisi economica, frutto di quella che Marx definisce “l’epidemia sociale della sovrapproduzione”.
Il fatto
che, in alcune circostanze, la società borghese conceda agli sfruttati di vedere migliorate le proprie condizioni
di vita non implica che i presupposti egoistico – economistici su cui la
società borghese si fonda siano venuti a mancare – i dominati non si illudano!
– bensì hanno solamente cambiato veste, assumendo modalità di forza diverse
dalle precedenti.
Il
capitalista conosce perfettamente i bisogni sterili e superficiali dei
lavoratori, sa che aumentando il salario di quel poco che consentirà loro di
acquistare i beni prodotti dallo stesso capitalista, terrà a freno eventuali
rivendicazioni salariali o relative alle condizioni di lavoro.
Sottoscriverà un arruffato
accordo con i sindacati – “No. Queste porcherie son vecchie come il mondo!
Il popolo non è più una puttana. Tre passi insieme e abbiam ridotto in cenere
la tua Bastiglia” – sublime Rimbaud!
In questa
condizione, il lavoratore non porrà in essere alcun tentativo di sostituire il
proprio governo a quello dei borghesi, nessuna contestazione, tranne in alcuni
momenti in cui il capitalista, consapevolmente, consentirà ai lavoratori, che
Freda paragona ai dei miti buoi, di muggire per rivendicazioni salariali: a
questi, talvolta, sarà consentita l’illusione di comportarsi come liberi tori e
verrà loro concesso di danneggiare la stalla.1
***
Freda
sostiene inoltre un’interessante tesi per confutare la falsa idea di una
pretesa contrapposizione delle democrazie borghesi
da quelle socialiste. Secondo
Freda, mentre nella società borghese il comando di una nazione è in mano a chi
detiene il potere economico,
attraverso il quale può acquisire quello politico
– visione di straordinaria attualità, comanda chi possiede – nelle democrazie
socialiste si parte dal processo inverso per raggiungere il medesimo obiettivo:
chi detiene il potere politico acquisisce, come distorto privilegio della
funzione di comando politico, la disponibilità dei mezzi di produzione.
In entrambi
i tipi di società, il potere si esprime esclusivamente in termini di ricchezza
e non potrebbe essere diversamente, allorquando si attribuisca allo Stato
soltanto la funzione di ordinatore di ricchezza. E’ lo Stato stesso ad eccitare
i suoi concittadini alla ricchezza, ad impadronirsene freneticamente, per la
soddisfazione di propri bisogni fisici e spirituali.
La regola
economicistica del processo produzione – consumo è presente in entrambe le
società.[2]
“Di fronte al caos della modernità
unica salvezza è la forma”.
II. Éternité
“Non sono un Maestro. Maestri sono stati Evola,
Platone, per esempio. Io sono stato solo un ‘ripetitore’ di teorie che altri
hanno formulato. Quanto a ‘cattivo’ non credo di esserlo mai stato. Sono stato
messo nel cattiverio dal Sistema, a volte con accuse ‘giuste’ (come l’accusa di
associazione sovversiva per la quale sono stato condannato, di cui riconosco
con fierezza il parziale fondamento) e accuse ingiuste (come quella di aver
organizzato la strage di Piazza Fontana). Di cattivo nel mio operato non
riconosco nulla: ho mirato a tradurre in pratica le teorie di maestri della
cultura europea.” 1
Ispirandosi
alla dottrina platonica dello Stato filosofico, Freda ritiene che dal fondo di
questo limaccioso abisso, emerga una razza di uomini insensibile ai bisogni
effimeri determinati dal capitalismo. “Saranno chiamati distruttori e
spregiatori del Bene e del ale. Ma essi sono i mietitori e i festeggiatori” chiosava
Nietzsche.
Questo
nucleo di eletti, esseri liberi che Freda definisce asceti della politica,
costituirà l’asse portante del vero Stato – uno Stato visto come realtà
assoluta, come valore, che non necessità di supporto storico perché trascende
tutto ciò che è immediatamente terreno e umano.
Per questa
razza eletta il fine dell’uomo non dovrà essere quello di mantenersi vegetando,
badando solo a conservare sé stesso nelle migliori condizioni fisiche, ma vi
dovrà essere dell’altro e proprio questo altro darà significato e valore
all’esistenza.
Il regime
migliore infatti, secondo Platone, è quello in cui l’autorità è fondata sulla
conoscenza della gerarchia dei beni, a prescindere dagli interessi particolari
dei singoli cittadini.
La legge
rappresenta soltanto un baluardo contro l’estrema degenerazione; ma ciò che
conta è la purezza di chi esercita l’autorità. E l’Accademia platonica voleva
essere una scuola del carattere, una fucina di “uomini regali”.
La
posizione di Freda, unico esempio di platonismo
politico all’interno della cultura italiana contemporanea, è peculiare in
quanto propone l’uscita dall’alienazione capitalistico-borghese, prodotto della
società moderna, riferendosi ad un paradigma non – moderno.2
La
percezione che Platone e i platonici ebbero dell’idea della politéia non
fu utopica.
Per
Platone, la vera politéia era il modello eterno, fisso nei cieli,
pertanto il vero Stato non era un prodotto della fantasia, ma un modello
politico ontologicamente fondato.
Non sarebbe
corretto pertanto valutare in termini di utopia il modello di Stato delineato
nella Disintegrazione del sistema, in quanto anch’esso si fonda su una
ontologia per la quale l’ordine politico retto non è mai il frutto né della
forza, né dell’accordo, né di interazioni umane più o meno casuali e, nemmeno,
è frutto dell’immaginazione.
L’intuizione di Freda consiste infatti nell’aver espresso un’analisi
assolutamente ineccepibile e ancor oggi validissima di critica
dell’organizzazione capitalistico - borghese della società, vista come ostacolo
alla realizzazione del “vero Stato”.
Il mito
dello Stato, ben lungi dall’essere frutto di una semplice ideologia o di una
concezione cerebrale o intellettualistica, pone le basi di un sistema etico –
non legato a puerili dettami moralistici da sempre detestati da Freda – senza
neppure il bisogno di leggi positive, in quanto ogni individuo non dovrà
rispondere a comandi impartiti dall’esterno ma obbedire alla propria attitudine
interiore. Uno Stato concepito come centro di potenza e non soprastruttura
inerte che non avrà come obiettivi la ricchezza o il benessere individuale,
bensì la felicità intesa come armonia dei vari componenti il corpo
dello Stato (l’eudaimonìa degli antichi Greci), attuazione in termini
politici di un principio impersonale, di una norma facente capo a quel diritto
naturale delle genti eroiche, in cui il significato di natura non si
esaurisce all’elemento, fisico, funzionale, ma acquista valore di termine
normativo.
Il dualismo che Platone aveva teorizzato tra verità
e apparenza, anima e corpo, si riflette anche nella concezione politica. Uno
Stato che assegni ai suoi concittadini funzioni incompatibili con il livello di
sapienza da essi raggiunto risulta disarmonico e rischia facilmente di
degenerare.
Fedele
interprete del pensiero del grande filosofo greco, Freda interpreta la società
in analogia ad un organismo vivente. E mentre per Platone il compito di
far rispettare la sopra citata armonia tra le parti spetta ai filosofi, Freda
attribuisce il compito di governare a questi asceti che hanno scelto di
combattere strenuamente le democrazie borghesi – ma democrazie fino a che
punto? – scevri da qualsivoglia viscida
devozione intellettuale.
***
L’umanità,
sostiene Freda, è chiamata a sproletarizzarsi e sborghesizzarsi.
E’ un
momento determinante del pensiero frediano: con questa teoria lo studioso
padovano si pone come radicale spartiacque della storia e della cultura che la
dicotomia borghesia – proletariato ha rappresentato fino a questo momento.
Per
comprendere meglio la specificità della teoria frediana, dobbiamo fare un passo
indietro.
Tutti i
settori produttivi stanno ora vivendo una drammatica situazione di stallo.
Marx asserisce che quando la società arriva a
possedere troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo
commercio, il sistema implode, non
essendo più in grado di contenere e di controllare la ricchezza creata dalle
forze produttive.
E la
borghesia a questo punto ha solo una via d’uscita per superare la crisi: da un
lato dovrà eliminare più forze produttive possibili, dall’altro cercherà di
espandersi occupando nuovi spazi di mercato e sfruttando in modo più tentacolare
quelli già disponibili, con il risultato di aumentare la portata e la virulenza
della crisi.
Come ben
sappiamo, la dottrina marxista poneva come priorità la lotta politica del
movimento operaio, considerando la conquista del potere da parte della classe
operaia come il superamento della società borghese e della divisione tra le
classi.
La
dittatura del proletariato, ossia la costituzione della classe operaia in
classe dominante, la distruzione dello stato borghese e la sua sostituzione con
lo stato proletario, erano considerate da Marx come l’inevitabile fase di
transizione per attuare il passaggio al comunismo.
Per Freda
invece borghesia e proletariato rappresentano facce della stessa medaglia,
risultanze – o scorie come le definisce – dell’unico processo avviatosi
con la decomposizione dello Stato.
Nessuno dei
due termini potrà vivere dissociato dall’altro, perché ad entrambi, sfruttatori
da una parte e sfruttati dall’altra – questo è il modello di società moderna in
cui viviamo – è imposta la schiavitù del denaro.1
Inventato
come mero strumento di transazione, il denaro è stato trasformato (o meglio deformato) in un bene di accumulazione.
E quanto più aumentano le transazioni, tanto maggiore diventa la possibilità
della sua accumulazione, specie da parte di chi ne determina il valore.
L’eccitazione parossistica ai consumi, la dilatazione abnorme del bisogno, la ricerca ossessiva di nuovi
mercati sono gli obiettivi profani della strategia totale disegnata dalla
plutocrazia mondialistica.
Il denaro anima qualsiasi attività del mondo
attuale.
Stiamo
assistendo al ribaltamento radicale della verità: la Divinità, che nelle
culture e società tradizionali orientava e ordinava gli atti più comuni
dell’esistenza, è stata soppiantata dall’idolo più profano che sia mai stato
concepito, il denaro. Le menti e le pedine del gioco plutocratico mondialista
risultano mosse da una forza che trascende i fenomeni e la volontà stessi.
Ovvero,
siamo nel regno di Lucifero e l’idolo denaro si rivela fattore non solo di
disordine, ma di un ordine diverso e perverso.
Il disegno
però non appare ancora completamente attuato. Lo sarebbe, invece, quando
l’intera popolazione terrestre degenerasse in consumatori senza razze, senza
radici né storia, deculturati e regrediti a un livello bio-psichico elementare.2
***
Freda va oltre
Marx, citando un brano tratto dalla Volontà
di potenza di Nietzsche:
“un giorno gli operai vivranno come, oggi, i borghesi, ma sopra di
loro,
più povera e più semplice, la casta
superiore. Essa possiederà la potenza.”
A questa
potenza, intesa come “pienezza d’essere”,
viene associata la sobrietà, l’autodisciplina ed uno Stato guidato da politici
di tale levatura è, effettivamente, uno strumento per reintegrare l’uomo nella
realtà divina. Rendere l’uomo libero significa educarlo alla disciplina
interiore e al rispetto del proprio piano gerarchico. Per realizzare questa
immagine di Stato, nell’età contemporanea, è necessario previamente recidere le
radici borghesi della società capitalista. Nell’opera di Freda la struttura
dello Stato popolare comunistico corrisponde a questa finalità: l’abolizione
della proprietà privata dei mezzi di produzione elimina le classi –
fenomeno tipicamente capitalistico e borghese – facendo emergere la VERA
politica, il VERO Stato.
L’importante, secondo Freda, non è che una nuova classe salga al potere,
ma una nuova umanità.
Per questa
ragione, come afferma Freda “abbiamo rifiutato di vedere nell’operaio
l’esponente di una nuova classe, di una società, di una nuova economia”. L’operaio
o è nulla o è qualcosa di più di tutto ciò: il rappresentante di una
determinata figura la quale agisce secondo proprie leggi, segue una propria
vocazione, partecipa a una peculiare libertà […]. O la vita dell’operaio sarà
autonoma, espressione diretta del suo essere e, perciò, sovranità, ovvero non
sarà altro che lo sforzo per assicurarsi una parte nel campo dei vecchi diritti
e degli insulsi piaceri di un’epoca esaurita.”
In questa fase crepuscolare del potere
egemonico borghese, i cui ultimi duecento anni di storia hanno fatto
comprendere coma sia stata la brama di denaro a condurre gli uomini ai
comportamenti più corrotti e dissoluti, Freda propone un modello statuale che
riconosca come suo fine precipuo quello di armonizzare i rapporti economici e
sociali tra i suoi membri.
Di fronte
all’attuale miseria umana, Freda si assume il compito di attraversare la
modernità, pur senza parteciparvi e tanto meno appartenervi, mediante un
operare che si sviluppi dall’intersezione di due tendenze: l’una verticale (per
superare la modernità), l’altra orizzontale (per fenderla e, aggiungo io, trafiggerla).
Difendere
la dignità essenziale delle proprie istituzioni anche in campo economico e
finanziario, dove il fine dell’economia è sopperire alle necessità della
Nazione e quello della finanza di razionalizzare lo scambio delle merci, dovrà
costituire uno dei fini irrinunciabili del vero Stato.
Una Nazione
che non persegua tale fine è condannata inesorabilmente alla più triste delle
notti.
“Non avventarti contro le
tenebre,
mantieni accesa la lanterna”
III. Chant de guerre
“Ma i governanti italiani, che tanto servilmente e
frettolosamente hanno ratificato il trattato di Maastrìcht, non hanno capito in
quale trappola hanno messo l’Italia?
Lo hanno capito benissimo, tuttavia chi detiene
veramente il potere ha loro concesso di rubare a piene mani perché avrebbe
avuto, come contropartita, il dominio (e il possesso) della nostra Nazione.
Adesso, esaurito il oro compito, vengono defenestrati per fare posto ad altri
più sicuri emissari del mondialismo.”
1
Dopo aver
tracciato la fisionomia del vero Stato, Freda analizza le modalità
operative finalizzate alla sua realizzazione concreta. Uomo di pensiero e di
azione al tempo stesso, Freda rifiuta istintivamente di considerare coloro i
quali, incapaci di contrastare il degrado sociale e politico esistente,
dichiarano di aderire, solo a parole, all’Idea del vero Stato, senza peraltro
avere il coraggio di porre in essere alcun comportamento in grado di
realizzarla storicamente.
Fatta questa premessa Freda, con una
magistrale espressione afferma che la condizione – non sufficiente ma,
comunque, necessaria – per porre gli elementi di fondazione del vero
Stato, è la EVERSIONE di tutto ciò che oggi esiste come sistema politico.2 A toi,
Nature, je ne me rends.
La distruzione del mondo
borghese dovrà avvenire in tempi rapidi, attraverso l’esasperazione del lavoro
di rottura degli equilibri presenti nell’attuale fase politica. Soluzioni
intermedie o a lungo termine non saranno possibili, non dovranno rimanere
nemmeno le macerie di un sistema capitalistico che Freda paragona a un male
inguaribile contro il quale non esistono terapie né operazioni chirurgiche.
Occorre secondo Freda“accelerare
l’emorragia e sotterrare il cadavere”. Senza preoccupazione per il dopo, non esistono salti nel buio. Solo rinascite e visioni luminose.
Ogni genere di ricchezza materiale dovrà
essere assolutamente subordinata allo Stato, affinché quest’ultimo possa
servirsene all’atto della sua costituzione e organizzazione.
Più radicale del discorso di Platone – il
quale si limitava ad abolire la proprietà privata per le ‘caste’ dei filosofi e
dei guerrieri, onde prevenire l’insorgere del particolarismo – , il discorso di
Freda prevede l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Il
capitalismo scompare con la scomparsa delle classi e queste – come già notava
Marx – scompaiono con l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di
produzione. Solo così potrà essere realizzata la giustizia ed il potere potrà
effettivamente essere esercitato da coloro che sanno realizzarvi l’idea di
giustizia; sarà così spezzato il dominio degli interessi di classe.
***
La
politica economica del vero Stato dovrà così, conseguentemente, essere condotta
sulla base di criteri opposti a quelli dello stato capitalistico. Il rapporto
produzione-consumo tipico dell’economia vigente fino a questo momento (il cui
carattere espansionistico e patologico della produzione suscita ed esaspera il
consumo) sarà capovolto, privilegiando la PROGRAMMAZIONE DEI CONSUMI rispetto
alla produzione.
L’attuale pluralismo degli istituti bancari
sarà eliminato a beneficio di una Banca di Stato che garantirà l’equilibrio
funzionale dell’economia dello Stato, senza alcun carattere creditizio. Una
banca di Stato che emetterà una moneta
di Stato, il cui potere d’acquisto sarà garantito esclusivamente dalla
ricchezza economica dello Stato popolare.
Il sistema finanziario oggi dominante ha
origine dalla mescolanza di privato e di pubblico e la sua imposizione trae
origine dall’accettazione generale di regole truffaldine e di falsi luoghi
comuni.
Il sistema creditizio (ossia dei prestiti
che sono concessi in misura multipla rispetto alle disponibilità reali delle
banche), delle carte di credito e di altre diavolerie finanziarie, determina,
in effetti, il crollo del potere d’acquisto del denaro. Effettuando una
disamina che si rivela di stupefacente attualità, alla luce delle cause che
hanno condotto, alla fine del 2008, all’attuale crisi mondiale, Freda afferma
che concedere prestiti, senza prelievo da una ricchezza reale, è come stampare
banconote senza alcuna nuova produzione che lo giustifichi. Un’emissione di
denaro che si basa su un’astrazione (la promessa di pagamento), diviene così
una truffa ai danni di quella parte di comunità nazionale che lavora.
Così in un mondo stracolmo di merci, l’unica
cosa che manca è il denaro concreto per acquistarle: a causa di finanziamenti
accordati ad attività distruttive di ricchezza (speculazioni) e a scapito di
iniziative produttive economiche valide, ma con redditività a più lungo termine
per i finanziatori.
Quindi lo Stato nazionale deve tornare ad
essere l’unico creatore della moneta legale, poiché solo uno Stato sovrano del
denaro può garantire la migliore ripartizione delle risorse, superando
l’iniquità rappresentata dalle macroscopiche differenze economiche tra i membri
della comunità nazionale – che vanno ben oltre i meriti socialmente tutelabili.
Infatti, il suo asservimento all’oligarchia mondialistica (sistema bancario
mondiale) obbliga lo Stato a subire quel controllo dei prezzi (quindi della
produzione e del consumo) imposto dall’oligarchia plutocratica, che genera non
solo arricchimenti illeciti, ma anche e soprattutto disperazione,
disoccupazione, e l’allontanamento dell’uomo dalla dignità che gli deve essere
conforme.1
***
Prima di proseguire nell’analisi degli
ulteriori elementi che devono caratterizzare il vero Stato, ritengo
particolarmente illuminante, ai fini della presente trattazione, riportare
pressoché integralmente le riflessioni economiche e finanziarie di Freda che,
sebbene pronunciate prima dell’entrata in vigore della moneta unica, anticipano
ancora una volta gli eventi fino a giungere alla spirale disastrosa in cui il
continente europeo e, in particolare il nostro paese, è stato risucchiato.2
Il sistema economico e monetario europeo
previsto dal trattato di Maastricht risulta caratterizzato dal libero scambio
delle merci, dalla libertà di movimento dei capitali e dai tassi fissi dei
cambi tra le monete.
A queste tre caratteristiche si deve
aggiungere l’autonomia monetaria, ossia la facoltà per ogni paese (cioè per
ogni banca centrale) di condurre una politica monetaria che abbia come
obiettivo la stabilità dei prezzi.
Questo stato di cose è incoerente perché non
è possibile pretendere di conservare l’autonomia economica accettando dei tassi
fissi. L’incoerenza è data dal fatto che quando un paese, per ridurre le
tensioni inflazionistiche, aumenta i suoi tassi di interesse, attira i capitali
e forza gli altri paesi a seguirlo, almeno se la scelta viene compiuta per non
cambiare le parità monetarie.
Questo fenomeno di propagazione e il suo
specifico effetto deflazionistico, a lungo termine, mettono in discussione il
policentrismo monetario con parità fisse, che durerà sino a quando non sarà
iniziata la fase finale dell’azione monetaria: quella che prevede la moneta
unica europea.
A questo punto, la soluzione individuata
dagli organismi europei è quella di rendere i cambi irrevocabilmente fissi,
introducendo una moneta unica posta sotto il controllo di un autorità creata ad
hoc: la Banca Centrale Europea (BCE).
L’incoerenza a cui Freda fa riferimento è
frutto dell’erronea convinzione da parte della nomenklatura economico -
finanziaria europea che tutto debba essere subordinato alla stabilità dei
prezzi – garantita dalla sola BCE – , la quale trae origine da due presunte certezze: la crescita regolare
dell’economia e l’attenuazione di eventuali eventi perturbatori, attraverso
l’emanazione di nuove regole istituzionali e sviluppando adeguate iniziative
pubbliche.
Naturalmente, queste certezze non tengono in debito conto che eventuali squilibri
economici possono derivare da cambiamenti istituzionali e divari strutturali
tipici delle economie europee.
L’obiettivo della stabilità dei prezzi si
basa sull’accettazione di cambi fissi, senza considerare che la conseguenza
inevitabile del mancato ritocco dei cambi è il rialzo dei tassi di interesse;
per di più, fino a che i tassi delle inflazioni nazionali non diventano uguali,
interviene una variazione dei cambi reali e dunque un’accentuazione degli
svantaggi competitivi dei paesi con il tasso di inflazione più elevato. Ciò può
generare solo la recessione e un incremento dei divari tra le Nazioni
comunitarie.
L’attuale tendenza recessionista risulterà
sempre più forte e rappresenterà la contropartita della volontà di impedire
ogni deriva inflazionistica.
Inoltre, se si tiene conto delle
disposizioni relative al bilancio pubblico, è da prevedere che si svilupperà un
circolo vizioso drammatico (diminuzione delle spese pubbliche, rallentamento
della crescita del prodotto interno lordo, diminuzione del gettito fiscale, con
conseguente incremento del deficit e aggravamento del peso dei debiti).
Il rallentamento della crescita si
trasformerà allora in vera depressione, con le indubitabili conseguenze
politiche.
Infine, l’interdipendenza fra le varie
economie rende illusoria la distinzione fra paesi in regola e paesi in fase di
sistemazione, poiché tutti pagheranno lo scotto in termini di recessione.
Pertanto, gli obiettivi principali dell’Unione Europea, cioè la stabilità dei
prezzi e la riduzione dei deficit pubblici, si rivelano in contrasto con le
dottrine di politica economica, comprese quelle liberoscambiste.
Poiché non pensabile che gli estensori del
testo del trattato di Maastricht siano incorsi in un errore così macroscopico,
dobbiamo ritenere che le proposizioni del trattato riflettano consapevolmente
la volontà di immiserire in Europa le economie nazionali e di distruggerne lo
Stato Sociale.
***
L’attuale struttura scolastica verrà
abbattuta senza riserve né esclusioni, con l’abolizione dei titoli accademici.
La scuola svolgerà rigidamente la funzione di avviamento al lavoro e la
formazione scolastica dovrà essere subordinata alle esigenze dell’equilibrio
economico popolare.
Terminato il corso di studi comune a tutti,
allo studente non sarà concesso di scegliere
il tipo di studi che gli aggrada, secondo criteri egoistici, bensì sarà lo
Stato a determinarne il prosieguo degli studi, sempre sulla base
dell’equilibrio economico dello Stato.
L’abolizione della proprietà privata
provocherà la scomparsa degli istituti giuridici di regolamentazione dei
rapporti tra privati, conseguentemente la giustizia avrà il compito di colpire
i reati commessi ai danni dello Stato, in ogni sua manifestazione (reati contro
la proprietà pubblica, contro la costituzione popolare dello Stato, contro
l’equilibrio dei rapporti individuali).
L’organizzazione attuale della magistratura
verrà abolita e la giustizia criminale verrà esercitata da un Giudice Popolare.
Le pene applicabili consisteranno nei lavori
forzati e, per i crimini più gravi contro l’ordinamento popolare dello Stato e
la proprietà pubblica, sarà prevista la pena di morte.
Riguardo la politica estera, lo Stato
popolare stringerà alleanza con gli Stati realmente anticapitalisti, favorendo
con decisione tutti i movimenti di lotta contro i sistemi capitalistici.
In luogo degli attuali organi posti a difesa
del sistema borghese (esercito, polizia, carabinieri, etc.), verrà costituita
una MILIZIA POPOLARE, composta solo da volontari, rigorosamente selezionati per
i vari compiti che saranno chiamati a svolgere. La milizia avrà il compito di
vigilare e prevenire – all’interno – il risorgere di eventuali ‘rigurgiti’
borghesi, mentre all’esterno sarà incaricata della difesa dello Stato popolare,
collaborando anche con i movimenti di lotta anticapitalistica.
“Lo
strapotere privato, specialmente quando viene esercitato
facendo uso arbitrario di prerogative
proprie del potere pubblico,
deve essere stroncato senza attenuazione
dallo Stato”.
IV. Déluge
“E’ inutile puntellare il muro che cadrà: non è forse
preferibile affrettarne la caduta? Oltre a ciò la caduta sarà rovinosa per
coloro che si affannano a impedirla.
Più rovinosa ancora: li schiaccerà tutti! Occorre,
invece, mettersi dall’altra parte, dalla parte di coloro che premono,
incitarli, dominarli, per accelerare ogni sforzo. Tu non hai il coraggio? Non
occorre usare troppa spregiudicatezza…In fondo, chi sono i padroni del muro e
delle terre al di qua del muro? Tu? Noi? No, di certo!”1
Giunto all’ultimo capitolo della Disintegrazione,
intitolato – molto suggestivamente – “auspicî”,
Freda rivolge il suo appello volto all’annientamento del sistema borghese sia a
persone che hanno da sempre prestato il loro impegno nelle file dell’estrema
destra, sia a coloro i quali hanno militato nelle file della sinistra
antifascista.
”Noi siamo dei fanatici” – afferma
Freda – dei fanatici che mirano ad essere sempre più lucidi”. Essere
fanatico significa, per Freda, abbracciare un’idea e cercare di portarla a
compimento, con ogni mezzo, subordinando tutto alla sua realizzazione. Ciò che
consente di trasformare una semplice organizzazione sociale in Stato, secondo
Freda, è determinato proprio dal perseguimento di un’idea, di un principio, che
divengano totalizzanti nella vita di una comunità di individui.
L’obiettivo di Freda prescinde dalla
formazione politica e culturale degli uomini: davanti a un nemico comune e quindi a un obiettivo
comune, la dimensione superumana è da intendersi superata. “Ciò assume per gli uni e gli altri i caratteri di una identica
certezza, che a entrambi impone l’esigenza di una leale strategia di lotta
comune: senza confusione di ranghi e di ruoli, ma nella considerazione della
propria identità.” Identità che, per Freda, si rivelerà “non diminuita
ma esaltata da una coerente unità operativa”.
E questo fronte comune in nome della lotta
al nemico mortale delle nazioni, il capitalismo, non dovrà limitarsi ad
arrecare danni al sistema ma arrivare alla sua disintegrazione, per evitare che le componenti spezzate, una volta
ricomposte, conducano nuovamente alla formazione del fenomeno sociale contro
cui rivolgiamo il nostro odio implacabile.
Stroncare un demone di tale portata comporta
necessariamente non solo la definizione di specifici obiettivi, bensì la
determinazione alla loro realizzazione con ogni mezzo utile all’abbattimento
degli ostacoli che si porranno al cospetto del ‘soldato politico’, compreso i
sistemi più drastici e risolutivi, proporzionati alla sontuosità dell’obiettivo
finale.
Per Freda“la
purezza giustifica ogni durezza, il disinteresse ogni astuzia, mentre il
carattere impersonale impresso alla lotta dissolve ogni preoccupazione
moralistica”.
***
Guardiamo
ai fatti: Freda propone di realizzare, in chiave tattica e in un preciso
momento storico quale il cosiddetto biennio
rosso 1968 – 1969, un’onda d’urto anti-capitalistica composta da frange
provenienti dalla sinistra rivoluzionaria e dalla destra radicale con
l’obiettivo di travolgere le istituzioni borghesi.
Prima di Freda, era stato lo scrittore russo
Emmanuel Malynski ad auspicare, intorno agli anni ’20, una composizione delle
ali estreme in chiave rivoluzionaria anti-borghese.2
Il punto focale della questione è
comprendere su quali basi concettuali si fonda la forza teorica del progetto
frediano, relativamente ai punti di convergenza nelle strategie di lotta della
sinistra rivoluzionaria e della destra radicale, non solo in Italia ma a
livello europeo. Il nostro sforzo deve ora concentrarsi sull’individuazione
dell’elemento comune alle due ideologie e della sua origine storico-filosofica.
Per comprenderlo, dobbiamo rifarci al
pensiero del più importante filosofo della scienza del ventesimo secolo, Karl
Popper, autore dell’opera fondamentale “La società aperta e i suoi nemici”3.
Secondo
Popper, la storia dell’umanità e delle Idee si dividono in due parti. Da una
parte troviamo i fautori della società aperta, che rappresenta la forma
della normale esistenza umana, la cui condotta si basa sul calcolo e sulla
libera volontà dei cittadini, elementi che contraddistinguono gli Stati
non-totalitari. Dall’altra parte troviamo invece i nemici della società
aperta in cui Popper inserisce Eraclito, Platone, Aristotele, Fichte ma
soprattutto Hegel e Marx, accomunati dalla dottrina secondo cui lo Stato è tutto e
l’individuo nulla; infatti quest’ultimo deve tutto allo Stato, sia la sua
esistenza fisica che spirituale.
. Destra e Sinistra
nascondono al loro interno due realtà
ideologiche eterogenee e inconciliabili, fonte di brutali dispute in seno alla
medesima famiglia politica: chi difende la
società aperta e chi la combatte. A Sinistra la sostengono i
socialdemocratici, i democristiani, i progressisti, i riformisti ecc. mentre le
sono ostili gli anarchici, i comunisti e gli altri movimenti dell’estrema
sinistra. A Destra invece i suoi fautori sono i conservatori classici, i
liberali, i repubblicani ecc. mentre la osteggiano i fascisti e una certa
estrema destra tradizionalista.
Le ali estreme sono pertanto caratterizzate
dal rifiuto radicale della società
aperta e dei fondamenti antropologici e filosofici su cui questa si basa.
Per Popper l’ideologia staliniana si spiega perfettamente con la dottrina di
Marx, proveniente direttamente da Hegel, a sua volta seguace di Platone. La
genesi del fascismo europeo segue la medesima via, solo che da Hegel non passa
attraverso Marx ma attraverso hegeliani di diritto fino a Ernst Jung (“L’umanitarismo,
ovvero l’idea del genere umano…non è il regolatore della storia”), Spengler
(“Virilità (manhood) o è un’espressione zoologica o è una parola vuota”)
e il nazista Rosenberg (“L’intima vita dell’uomo risultò scardinata…quando
un movente estraneo fu impresso nella sua mente: salvezza, umanitarismo e la
cultura dell’umanità”).1
***
Sia l’estrema ala sinistra marxista, sia
l’estrema destra fascista fondano le loro filosofie politiche su Hegel.
La filosofia hegeliana, la cui potentissima
influenza si rivelerà determinante nella nascita dei regimi totalitari moderni,
trae la sua linfa vitale proprio da Platone, sulle cui idee Freda basa le sue
convinzioni sul vero Stato, sulla sua assoluta autorità morale, che supera ogni
moralità individuale, ogni coscienza.
Il platonismo di Hegel rappresenta il
collegamento tra lo stesso Platone e il totalitarismo moderno.2
La maggior parte dei totalitari moderni,
secondo Popper, sono assolutamente ignari del fatto che le loro idee possono
essere fatte risalire a Platone (particolare che Freda ha invece ben presente),
mentre sono consapevoli del loro debito nei confronti di Hegel.
A tutti Hegel ha insegnato a venerare lo
Stato, la storia e la nazione.
Al pari di Platone, Hegel vede lo Stato come
un organismo dotato di un’essenza cosciente e pensante, la sua ragione o “Spirito”. Questo Spirito, la cui vera essenza è attività, è nello
stesso tempo il collettivo Spirito della Nazione che forma lo Stato e ne
determina il suo segreto destino storico: ogni nazione che voglia emergere all’esistenza deve affermare la
propria individualità o anima salendo sulla Scena
della Storia, vale a dire combattendo le altre nazioni; obiettivo della
lotta è la dominazione mondiale.
Per questa ragione Hegel sostiene che la
guerra sia un principio giusto per
modificare lo stato delle cose.
Influenzata dall’hegelismo, la sinistra
rivoluzionaria sostituisce alla guerra delle nazioni, la guerra delle classi,
mentre l’estrema destra sostituisce ad essa la guerra di razze; ma entrambe,
seppur apparentemente contrarie lo seguono più o meno coscientemente,
mostrando così profonda unità metafisica.
In entrambi i casi, l’idea fondamentale è
che la degenerazione, soprattutto delle classi superiori, è alla radice della
decadenza politica (cioè dell’avanzata della società aperta). Marx sostituì allo “Spirito” di Hegel la
materia e gli interessi materiali ed economici. Allo stesso modo, il razzismo
sostituisce allo “Spirito” di Hegel qualcosa di materiale, la concezione
quasi-biologica del Sangue o della Razza. Invece dello “Spirito”, è il Sangue
l’essenza auto-sviluppantesi; invece dello “Spirito” è il Sangue il
Sovrano del mondo che si dispiega sulla Scena della Storia; e, invece del suo “Spirito”
è il Sangue di una nazione che ne determina il destino.2
Naturalmente, sia i comunisti ortodossi che
i rappresentanti dell’estrema destra convenzionale (fascista o no) rifiutano
sdegnosamente tale accostamento gridando allo scandalo, i marxisti bollando gli
hegeliani come reazionari e a destra rifiutando il marxismo in quanto
espressione di sovversione.
Grazie all’ignoranza e alla mancata
consapevolezza delle comuni origini del proprio pensiero, i nemici della società
aperta di sinistra, spesso, nel passato come ai giorni nostri, si sono
alleati con i difensori di questa
società, con il pretesto superficiale di costituire un fronte comune
contro la destra. La stessa cosa vale per i nemici della società aperta di
destra: l’idealismo soggettivo di taluni conservatori (sempre
liberali) li spinse a concludere alleanze contronatura con questi ultimi,
allontanandosi così dalle proprie autentiche radici.
Il grande errore delle destre e delle
sinistre storiche è consistito e consiste ancora oggi, nel cadere nella
trappola del settarismo, in cui la vera identità dei nemici da sempre della
società aperta si frantuma in una forma alienata e scissa, che ha provocato –
quale orrore! – una guerra fratricida tra i rappresentanti dei due rami della
medesima concezione del mondo.
***
Comune denominatore dei nemici della società aperta è l’idea dell’Irrazionale, che consiste
nel rifiuto di considerare come realtà primordiale la Ragione Umana critica e
le conseguenze umaniste del pensiero filosofico di Kant.
L’Irrazionale è anche Essenza, Scopo,
Destino, qualcosa che supera quella libertà individuale che concentra in sé
tutta la razionalità e serve come base alla costruzione dell’autentica società
aperta, in cui non esisterà altra misura all’infuori dell’Uomo.
Mentre i marxisti e i conservatori, per
giustificare le proprie posizioni ideologiche, insistono sulla razionalità e
sull’umanesimo delle proprie idee, cercando così di confutare le accuse dei
liberali alla Popper, Freda riconosce l’orientamento a-razionale e persino
non-umano della propria dottrina, in cui risultano chiari gli influssi di
pensatori tradizionalisti quali Julius Evola3 e René Guénon4,
sostenitori per eccellenza dell’ideologia anti-umanista e anti-moderna.
L’eredità hegeliana è presente in tutte le
sue sfaccettature: il richiamo al fattore non-umano, il rifiuto totale del
valore della ragione e dell’individuo, l’affermazione dell’ineguaglianza
naturale degli uomini, il richiamo alla società gerarchica, il riconoscimento
del declino inevitabile della civiltà.
E’ fuor di dubbio che i fascisti si
oppongano alla società aperta ed è
altrettanto certo che il substrato delle loro idee vada ricercato non-umanista
e non-razionalista (Eraclito, Platone, Hegel, Spengler ecc.). Il loro idealismo
è sempre obiettivo: miti di Nazione, Chiesa, Stato, Razza, Impero, Superuomo e
Tradizione, che schiacciano il piccolo idealismo
moderato e soggettivo dei personaggi della società aperta di Popper, poiché la dinamica della realizzazione
del Destino da parte di ognuno mette in luce le differenze gerarchiche. Questo
causa, a sua volta, il predominio dei forti sui deboli, dei gradassi sui
timidi, limitando fortemente la libertà individuale.5
La versione marxista della dottrina
hegeliana propone invece una forma di idealismo particolare, tutto incentrato
sulla classe proletaria e una concezione del mondo materialistica. E’ la stessa
tendenza totalitaria riscontrabile già in Eraclito e Platone, ma rivestita da
una nuova forma concettuale: il Destino universale si identifica con il
comunismo, la dialettica del processo storico si realizza attraverso i processi
produttivi, il soggetto centrale del compiere il Destino è il Sé collettivo
della classe operaia. In pratica, la sostanza della dottrina hegeliana resta la
stessa e, anche se espressa con un linguaggio differente, lascia trasparire i
tratti del nemico della società aperta,
con la differenza che la sinistra sostituisce al concetto di casta dominante
quello della classe e il materialismo
obiettivo totalitario schiaccia anche in questo caso il piccolo materialismo soggettivo dell’uomo medio.
L’URSS infatti non presentava gli elementi tipici della società aperta e la presenza nel
comunismo marxista dell’idea hegeliana della guerra giusta, è dovuta non solo alla profonda influenza di Hegel
su Marx, ma anche di quella platonica sui socialisti utopici che hanno
preceduto Marx.
Ma l’eredità ideologica che i fascisti e i
comunisti del XX secolo hanno in comune non è costituita solo dal pensiero di
Hegel. Sorel, padre del sindacalismo rivoluzionario, Reuss, Pareto e Proudhon,
gli illuministi e gli occultisti europei possono essere rivendicati dai nemici
della società aperta, a sinistra come
a destra.
Non a caso il maestro spirituale dello
stesso Guénon, che definì la sua filosofia satanismo
incosciente, fu Ivan Agueli, socialista svedese e il suo iniziatore in
Massoneria Theodor Reuss in persona, occultista, massone, agente dei servizi
segreti tedeschi e ideologo
dell’anarchia.
***
Arrivati alla conclusione del presente
studio, è possibile affermare che alla realizzazione di un obiettivo di
straordinaria portata non può che sottendere un progetto politico altrettanto straordinario: la purificazione delle
dottrine storiche dei nazionalisti e dei comunisti dai residui di pregiudizi
eterogenei provenienti dalla confusione con elementi soggettivi dovuti ad alleanze contronatura sotto l’egida della
Destra e della Sinistra che, fino a questo momento, hanno determinato
quell’impotenza pratica di realizzare ciò che deve essere realizzato: “arrivare sino alla foce”. Le
connotazioni anticomuniste e antifasciste possono e devono essere superate in
virtù della dottrina filosofica che abbiamo sviscerato in queste pagine.
L’escatologia sociale ed economica dei
marxisti si unirà alle escatologie di altra sorta – religiosa, razziale,
gnoseologica, statale, nazionale – e il tutto diventerà sintesi ideologica
universale.
Con buona pace degli amici della società aperta, gli eredi di Kant, di Popper, i
liberali, i razionalisti, uomini vecchi tout
court, il fronte nazionale – l’uso
del termine non è casuale – auspicato
da Freda travolgerà il sistema capitalista, nella piena convinzione di trovare
al di là del baratro terreno fertile per la rinascita nazionale.
Acquisteremo grandezza e rango storico solo
seguendo il compito affidatoci dal destino –
“ecco il perfetto quadro d’un destino irrimediabile, a emblemi netti!
C’è da pensare che il Diavolo quello che fa, lo fa sempre bene!” –
sogghigna Baudelaire.
“La qualità,
sia degli uomini che delle opere,
sopra ogni altra cosa”.
1 Tratto dall’articolo di C.
Baudelaire, Quelques caricaturistes étrangers, pubblicato in Le
Présent del 15 ottobre 1857 e in L’Artiste del 26 settembre 1858. Il
testo è pubblicato in italiano nel volume: C. Baudelaire, Scritti sull’arte,
Einaudi, Torino 1981, pp. 177-179
2 Franco G. Freda, Monologhi
(a due voci). Interviste 1974-2007, Edizioni di Ar, Padova 2007
1 Mi sembra significativo,
al riguardo, quanto sostenuto da Freda nello scritto Intorno al terrorismo dei minimi termini, pubblicato in appendice
alla III edizione (1980) de La disintegrazione del sistema: “..ho l’impressione che l’annientamento di questo sistema rimanga un
obiettivo irrealizzabile attraverso la violenza terroristica. Una strategia di
annientamento dell’avversario non si può impostare sul terrorismo. Può essere,
quest’ultimo, considerato solo entro un quadro tattico, e quando il processo
che mira alla dissoluzione delle forze avversarie sta per concludersi
vittoriosamente. Cioè come operazione di bonifica destinata a purgare il
popolo – attraverso la paura che essa
suscita – degli irriducibili consensi residui di cui gode un’oligarchia
agonizzante. Inteso ad accelerare i tempi, esso deve adottare strumenti
differenziati, discriminanti e – sopra tutto – risolutivi. Solo in questa
prospettiva, a mio parere, assume un significato e diventa lecito: per
eliminare definitivamente delle sacche di consenso. Inoltre, anche per un
obiettivo così definito il terrorismo impone – per risultare efficace – un
impiego massiccio di forza. Se l’avversario non viene annientato in un breve
arco di tempo, la scorciatoia terroristica diviene un labirinto nel quale chi
entra si smarrisce. E gli attacchi di intensità ridotta determinano effetti che
invece di logorare e consumare l’avversario lo tonificano. Ne deriva allora un
capovolgimento di situazioni: l’avversario giunge ad alimentarsi proprio di
quella violenza che si proponeva di distruggerlo”.
* Testimonianza di un magistrato, dietro garanzia
dell’anonimato, contenuta in N. Rao, Il
sangue e la celtica, Sperling & Kupfer 2008
[1] Franco G. Freda, In alto le
forche! Il ’68 e il nichilismo, Edizioni di Ar, Padova 2008
2 Cfr. Franco G.
Freda, Monologhi (a due voci). Interviste
1974-2007, Edizioni di Ar, Padova 2007, quando
afferma: “Noi riteniamo che l’Europa
debba anzi tutto guarire dal male statunitense – ma non riteniamo assolutamente che la terapia
efficace consista in qualche attentato alle basi militari USA che presidiano
l’Europa. L’unica terapia radicale può derivare da un rifiuto in interiore dei
’valori’ della civilizzazione USA, da un ritorno consapevole all’essenza dei
valori originari della cultura europea”.
3 Da ogni dove si celebra il modello imperante, il demoliberismo anima e spirito del ‘libero
mercato’. L’omologazione planetaria – Mondialismo – dei governi di tutti i
paesi appare ormai come un processo irreversibile. E di processo irreversibile
si deve pure parlare circa la demonizzazione perpetrata a danno di chi,
persona, comunità politica, comunità religiosa, organizzazione o stato tenta di
opporsi a questa tremenda dittatura mondialista. Repressione giudiziaria o,
nella migliore delle ipotesi, interdizione da tutti gli apparati di
comunicazione sociale per le persone, le comunità e le organizzazioni che
dall’interno dei vari paesi occidentali propugnano modelli alternativi; guerra,
morte, distruzione, embargo economico, sanzioni, isolamento per gli Stati che
nei fatti rappresentano un’effettiva alternativa di sistema. Si pensi a Cuba
che, dal 1962, rappresenta il caso più sintomatico, ma anche all’Iran, al
Sudan, all’Iraq, alle repubbliche della ex Yugoslavia o a quelle dell’ex Unione
Sovietica. v. il testo Nazionalcomunismo,
AA.VV., Società Editrice Barbarossa 1996
1Secondo Nietzsche,
il cui pensiero è particolarmente apprezzato e citato da Freda, è la morale a pretendere di conservare
inopinatamente e di mantenere in vita tutto ciò che la storia ha già condannato
come obsoleto, ciò che è “malato”,
ciò che è “maturo per il tramonto”,
fallito sul piano dei fatti, creando un nuovo ambito per definizione distinto
dalla realtà, che è appunto quello dell’ideale, del dover-essere, del valore,
attribuendogli un valore atemporale e universale. Con tali attributi la morale
cerca di tutelare e di sottrarre alla morte le esperienze che cessano di essere
vitali: quando esse erano davvero viventi, non c’era alcun bisogno di
affermarne il valore. v. Nietzsche, L’Anticristo.
Maledizione del cristianesimo, Newton Compton 1997, trad. di Paolo Santoro.
2 Da La paganità di un
sodalizio di Giovanni Damiano, contenuta in Franco G. Freda, I lupi
azzurri. Documenti del Fronte Nazionale, Edizioni di AR, Padova 2000
3 V. Marx – Engels, Il
Manifesto del partito comunista, trad. di Domenico Losurdo, Laterza 1999.
Le riforme realizzate mediante il movimento dal basso e gli interventi
dall’alto saranno sempre ben poca cosa fino a quando il potere politico
continuerà ad essere il comitato d’affari della borghesia. Quelle stesse
limitate riforme potranno sempre essere annullate dalla classe dominante,
favorita dal fatto che l’organizzazione chiamata a promuovere la resistenza
contro il dispotismo padronale viene ad essere spezzata dalla concorrenza fra
gli stessi operai. Un mutamento radicale e irreversibile delle condizioni
sociali e politiche presuppone – sottolinea Marx già nel 1844 – una rivoluzione
politica con un’anima sociale. L’organizzazione dei proletari in classe, e
quindi in partito politico deve mirare – chiarisce il Manifesto – alla
conquista del potere politico.
4 Alla domanda: “cosa
riscopre di Nietzsche?”, Freda risponde : “La profondità dell’analisi – della decadenza e dell’uomo della
decadenza. Credo che tale analisi sia la più completa finora apparsa; analisi –
soprattutto del veicolo umano di tale decadenza – come anche delle possibilità,
solo intraviste, di una restaurazione aristocratica”.
5 Pier Paolo Pasolini, in
un’autointervista sul Corriere della Sera, il 25 marzo 1975, sostiene inoltre
che “nel potere – in qualsiasi potere, legislativo ed esecutivo – c’è
qualcosa di belluino. Nel suo codice e nella sua prassi, infatti, altro non si
fa che sancire e rendere attualizzabile la più primordiale e cieca violenza dei
forti contro i deboli: cioè, diciamolo ancora una volta, degli sfruttatori
contro gli sfruttati”. Da M. Caparra e G. Semproni, Neri!, Newton
Compton 2011
1 Questa visione di Freda ci fa
ribollire il sangue per il suo realismo. Se pensiamo che anche per Nietzsche,
la stessa rivendicazione di un diritto presenta un aspetto ingenuo e ipocrita:
infatti nessun diritto sarà mai riconosciuto se non ha la potenza di farsi
riconoscere; se ha questa potenza, il fatto di presentarsi soltanto come diritto
lo indebolisce anziché rafforzarlo.
[2] A conferma della ragionevolezza della tesi frediana, si pensi alla
critica rivolta da M. Bakunin a Marx. L’anarchico russo riteneva che il nucleo
centrale del marxismo consistesse nella conquista dello stato realizzata
attraverso la centralizzazione del potere. Nel gennaio 1872, Bakunin scrisse a
proposito del filosofo tedesco: “Marx è
un comunista autoritario e centralista. Egli vuole ciò che noi vogliamo: il
trionfo completo dell’eguaglianza economica e sociale, però, nello stato e
attraverso la potenza dello Stato, attraverso la dittatura di un governo molto
forte e per così dire dispotico, cioè attraverso la negazione della libertà”.
A sostegno invece dell’estraneità a qualsiasi concezione burocratica del potere
dei lavoratori da parte di Marx, si è espresso Marco Ferrando, nella sua
interessante L’altra Rifondazione,
Ed. GiovaneTalpa, Milano 2003, di cui consiglio la lettura.
1 Franco G. Freda, Monologhi
(a due voci). Interviste 1974-2007, Edizioni di Ar, Padova 2007
2 Dal saggio ‘Un
comunismo dorico’, di Francesco Ingravalle, contenuto in Franco G. Freda, La disintegrazione del sistema, Edizioni
di AR, Padova 2010
1 Nella prima delle Due
lettere controcorrente, scritta nel giugno del 1971, Freda a tal proposito
afferma “..di aver considerato senza equivoci di sorta il capitalismo e il
socialismo come semplici forme economiche, incapaci di avere la funzione di
visioni del mondo e del destino dell’uomo.
Così come sono certo di avere manifestato la mia avversione verso
questo tipo di uomini senza razza, senza forma, senza rango – in una parola:
senza senso – che capitalismo e socialismo, assumendoli a soggetto dei loro
sistemi, esauriscono nel quadro di un genere zoologico degradato.”
2 v. Franco G. Freda, I
lupi azzurri. Documenti del Fronte Nazionale, Edizioni di AR, Padova 2000,
pp. 77-78
1 Franco G. Freda, I
lupi azzurri. Documenti del Fronte Nazionale, Edizioni di AR, Padova 2000
2 dal latino eversionem, da
eversus p.p. di evertere, volgere sottosopra, abbattere, rovesciare. L’atto e
l’effetto dell’abbattere, annientare acquisiscono qui un significato altamente
rappresentativo del personaggio Freda, che ha la forza di distruggere.
1 v. Franco G. Freda, I
lupi azzurri. Documenti del Fronte Nazionale, Edizioni di AR, Padova 2000,
pp. 78-79
1 Franco G. Freda, In
alto le forche! Il ’68 e il nichilismo, Edizioni di Ar, Padova 2008
2 E’ lo stesso Freda ad ammettere che, all’epoca della
stesura de La disintegrazione del sistema,
non era a conoscenza dei due saggi di Malynski, Fedeltà feudale – dignità umana e Il proletarismo, pubblicati rispettivamente nel 1976 e nel 1979
dalle Edizioni di AR
3 Cfr. Nazionalcomunismo,
AA.VV., Società Editrice Barbarossa 1996, p. 225-226
1 Mai come in questo momento preciso momento storico, è evidente che la dottrina
liberale che concepisce lo Stato Mondiale come Mercato Mondiale, sia diventata
l’idea dominante della nostra civiltà. E questo presuppone la distruzione
finale delle nazioni come resti dell’epoca passata, come l’ultimo ostacolo di
fronte all’espansione irresistibile del mondialismo. Ma la dottrina mondialista
è la forma perfetta e compiuta del modello di società aperta. E’ il motivo per cui i nemici di questa società
sostengono tutto ciò che le è contrario, tentando contemporaneamente di
riportare il concetto utilizzato a un livello più elevato e radicale, verso le
cime vertiginose dell’Irrazionale. Cfr. Nazionalcomunismo,
AA.VV., Società Editrice Barbarossa 1996, p. 234
2 K. Popper, Contro Hegel,
Armando Editore 1997, p. 24
3 E’ interessante in questo contesto menzionare il fatto
che Evola abbia influenzato in una certa misura il fascismo italiano e un poco
quello tedesco, pur essendo stato lui stesso in gioventù influenzato da Hegel.
Hegeliano pure lui fu Giovanni Gentile, l’altro teorico del fascismo. Ma Evola,
secondo Guénon ha superato Gentile e gli altri hegeliani di destra, arrivando
alle formulazioni estreme delle massime tradizionaliste.
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